martedì 8 aprile 2014

Desidesterare

Il desiderio di scrivere lo possedeva. Si era fatto strada nel tempo, prima ignorato dall'organismo ospitante, poi percepito appena e ora, udibile, visibile, toccabile, invadeva il malcapitato.
Lavorava silenziosamente, soprattutto la notte, quando organismo provava a dormire, desiderio cominciava a canticchiare una nenia sempre uguale: una volta, due volte, tre volte; non cambiava il tono; non cambiava il volume, semplicemente persisteva.
Durante il giorno desiderio rimaneva a poltrire in stanze buie, come la minaccia di un ladro, presente, percepibile, ansiogena, incontenibile. Quando si svegliava era sempre troppo tardi, aveva già rubato tutto.

Non una sedia dove appoggiarsi, non un tappeto dove stendersi, nemmeno un bicchiere per dissetare organismo in deperimento.

Una malattia, implacabile; un tarlo, vorace; un seme, quello della follia (cit.).

Desiderio era pigro, era svogliato, era un procrastinatore inguaribile quando era il momento di far lavorare organismo; e invece sapeva essere un instancabile lavoratore crumiro quando si trattava di infastidirlo, organismo. Quando era tempo di ricordare ad organismo la sua fame, la necessità di sfamare la bestia prima che la bestia si cibasse di quel che rimaneva di corpo, allora era in prima linea, incapace di fermarsi. Diventava i pugni sul cadavere di una lite finita in corpo e non in ragione.

Desiderio non aveva aspetti positivi, desiderio era solo brama e organismo ormai era arrivato all'ovvia consapevolezza: quella della sua incapacità di farsi soddisfare da desiderio o di soddisfarlo lui stesso. Era giunto il momento di dividersi, per sempre.

Un orbitoclasto, un colpetto, una bella shakerata.